Esploratori delle piccole ombre

Non è vero che non esiste più nulla da scoprire, esplorare, nominare.

Non è vero che tutto è stato fotografato, segnato, disegnato e raccontato.

Basta poco per farsi esploratori.

I fiumi sono fili colorati che l’uomo ama osservare dall’alto. Infiniti sono i punti panoramici segnati sulle mappe dove è sufficiente parcheggiare la macchina e osservare i serpenti incastonati nella terra. Dall’alto tutto sembra irraggiungibile, tutto è confuso, faticando si distinguono i colori e le ombre. Dall’alto sembra di poter racchiudere questo Tutto in una sola fotografia. Ci accontentiamo spesso di questa semplice visione perché è incredibile e affascinante al punto da appagare il nostro desiderio di ricerca.

Fotografie di Renato Amorim Esposito

Questa volta, arrivati presso uno dei più famosi balconi panoramici della zona abbiamo deciso di scendere, di andare oltre.

Paradossalmente è come se avessimo deciso di discendere dalla vetta della montagna: dalla cima alla sua più profonda base e origine. Quello che conta è ciò che si vive mentre si attraversano questi due estremi, non importa se stai scendendo o salendo, importa solo allontanarsi da quel punto di partenza per scoprire ciò che c’è oltre, ciò che esiste nelle ombre di quella fotografia.

Il terreno impervio ha fatto sobbalzare la macchina più e più volte. Curve strapiombanti senza fine, la puzza del freno occupava tutto l’abitacolo.  La curiosità di scoprire cosa esistesse sul fondo ci ha permesso di proseguire. Seguire la strada finchè non si può andare oltre è come salire fino a quando non si raggiunge la vetta e oltre alla croce esiste solo il cielo.

“Da là su non pensavo fosse così” ha annunciato Rudy al volante. I suoi occhi erano pieni di vita e questo è bastato per concedergli tutta la mia fiducia. Ero sicuro che avrei trovato qualcosa di speciale al termine di questa strada di polvere e roccia. Il cigolio degli ammortizzatori e i colpi sulla carena non ci hanno abbandonato fino agli ultimi metri.

Di colpo la strada si è spezzata, infrangendosi contro lo specchio d’acqua verde smeraldo. Il piccolo fiume che dall’alto sembrava un serpente si trovava davanti a noi, fermo immobile come se fosse un ghiacciaio.

Una volta sceso ho compreso l’espressione del mio compagno.

Avevamo scoperto l’acqua custodita nel profondo della Terra, portatrice di un tesoro primordiale e dal passato preistorico. Riflessi su di essa enormi versanti rocciosi slanciati verso il cielo. Pareti di granito e rocce metamorfiche abbracciano l’intera costa del fiume. Le curve si muovono leggere fino a formare canyon nascosti da altre pareti di rocce seguendo le curve continue del fiume.

La bellezza di lasciarsi sorprendere.

Sono certo che in quel momento, appena sceso dalla macchina, anche i miei occhi si sono illuminati d’una brillantezza infantile. Mi sono messo a correre con lo zaino sulle spalle, Rudy ha sorriso.

Abbiamo estratto dal bagagliaio dell’auto la canoa e senza perdere tempo abbiamo iniziato a gonfiarla. Neanche cinque giri d’orologio e già eravamo in acqua.

Aveva proprio ragione Rudy, dall’alto mai avrei immaginato che esistesse uno spettacolo del genere. Una volta aver messo piede nell’acqua il mondo è scomparso, o meglio, siamo entrati dentro uno nuovo. Pensare che non volevo neanche uscire oggi.

Tutto emanava il profumo della novità e della scoperta, i cinque sensi catturavano quanti più elementi possibili e l’adrenalina aumentava ad ogni remata. Ci siamo persi nel primo canyon osservando le pareti. Ogni fessura diventava nella nostra testa una via percorribile, ogni imperfezione della roccia, un appiglio. Così come marinai che gridano: “terra in vista” noi ci siamo gettati su ogni masso e pietra.

Abbracciare i giganti della terra.

Il cielo e le possenti pareti si riflettevano sullo specchio d’acqua scuro. Sotto di noi l’abisso che m’incuteva una paura incredibile. Il silenzio assoluto spezzato solo dal volo dei volatili.

Rudy si trovava a qualche metro dalla barca con le mani inserite in una grande fessura nel granito, il corpo era teso e concentrato solo a non cascare nello specchio d’acqua profondo.

Di colpo nell’aria un rumore sordo, quattro ali piumate si dimenavano veloci. Due uccelli neri come la notte riflettevano il corpo scuro nella profondità della gola.

Sorvolarono la testa di Rudy in pochi secondi sfiorando le rocce.

Rudy e il suo riflesso

Una spinta con i piedi e uno sforzo verso una tacca distante sulla destra. Ecco la via, ormai è fatta.

Rudy alzò i piedi e cercò delle mani che riesce ad accoppire su una piccola vasca. Si spinse ancora una volta ed ecco la cima.

Si alzò in piedi su una sporgenza. Un anfratto di roccia era diventato ufficialmente la prima linea di questa gola del fiume Douro.

Il suo disegnatore ha deciso il nome: La via dei Cormorani.

Non restava che tuffarsi e infrangere quell’abisso nascosto. 

Io, ripetendo la via :)

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